Il riconoscimento dell’Osteopatia è un argomento molto attuale. Ultimamente se ne parla molto nel nostro ambiente.
È altresì vero che chi ha già maturato più esperienza osteopatica di me mi racconta che in realtà si parla di riconoscimento dell’Osteopatia ormai da più di vent’anni.
Quindi? Questa volta sembra davvero che qualcosa stia succedendo. Le acque spesso torbide e poco penetrabili della politica parrebbe si stiano smuovendo.
Diciamo che negli ultimi due o tre anni la politica ha dovuto prendere in considerazione il “problema” del riconoscimento dell’Osteopatia.
E finalmente a dicembre 2017 l’Osteopatia è stata riconosciuta ufficialmente come professione sanitaria
All’origine di tutta questa situazione odierna c’è un sano desiderio della comunità osteopatica di essere riconosciuta legalmente e normata nella propria formazione. L’obbiettivo è nobile. Tutelare i pazienti, in continua crescita (10 milioni secondo un recente studio), e salvaguardare la posizione di professionisti tutt’altro che legalmente tranquilli nel proprio operato.

Riconoscimento Osteopatia
Il riconoscimento dell’Osteopatia è un iter burrascoso, che soffre di numerose problematiche.
Provo a fare cenno ad alcune di esse, almeno a quelle che a mio modesto parere sono le più interessanti. Non è mia intenzione fare una sterile retorica osteopatica, ma quantomeno aprire uno spiraglio verso una maggiore consapevolezza della questione riconoscimento. Sopratutto per voi “non addetti ai lavori”.
Prima di tutto è necessario ammettere che non c’è una vera coesione tra gli osteopati. E in particolare questa mancanza di unità è relativa proprio al tipo di riconoscimento. Il che sottende già a una visione di base dell’Osteopatia eterogenea. Se non siamo d’accordo su come dovrebbe essere inquadrata l’Osteopatia come potremo battagliare efficacemente per il suo riconoscimento?
L’osteopatia fa ancora fatica a integrarsi con il mondo sanitario. In realtà, per essere precisi, dovrei dire che molti osteopati fanno fatica a interagire con le altre figure sanitarie. C’è una reale difficoltà di linguaggio. Per intenderci, a me piace la lingua italiana, ma se vado a Londra o parlo inglese o rimango isolato.
Non tutti gli osteopati però sono uguali, ovviamente. È ammirevole il grande lavoro che alcuni colleghi portano avanti per mostrare quello che l’Osteopatia è davvero, in (sempre più) realtà ospedaliere tanto quanto nel rapporto col singolo medico o fisioterapista (o ostetrica, podologo…). È inoltre davvero importante il magistrale lavoro di ricerca, l’arduo tentativo di dimostrare scientificamente quello che vediamo quotidianamente in studio. Invece è altamente disdicevole, a mio (sempre umile) avviso, la posizione di quei colleghi che, non solo non cercano il rapporto con gli altri professionisti, ma addirittura lo osteggiano, a causa di quella brutta condizione di cui soffrono conosciuta come “delirio di onnipotenza”.
A questa disomogeneità osteopatica si contrappone una forte e netta opposizione al riconoscimento dell’Osteopatia da parte dei rappresentanti di categoria (soprattutto) dei fisioterapisti, AIFI in primis. Che abbiano paura di qualcosa? Nascondendosi dietro al nobile ideale della tutela dei pazienti, stanno compiendo una vera e propria guerra di trincea a salvaguardia del “propio orticello”. Questa posizione si dimostra di basso livello, carente di lungimiranza e ricca di malafede, tanto da non meritare ulteriori approfondimenti.

Riconoscimento osteopatia: World Health Organization
“Keep it pure”.
Così diceva Still. Mantenetela pura. Il mio grande rammarico è quello di vedere fazioni diverse anche sull’interpretazione di quel keep it pure che tanto ci ha guidato in questa affascinante storia ultra centenaria. Siamo sicuri che mantenerla pura voglia dire isolarci dal resto della comunità scientifica? Oppure, davvero è necessario snaturare l’Osteopatia stessa in nome di un riconoscimento scientifico?
Non è mio interesse dare una risposta qui. Non penso di avere l’esperienza e le conoscenze tali per potermi esprimere in maniera assoluta. Ma il pensiero va a quell’importante pilastro della mia vita e dell’Osteopatia stessa a cui non posso e non voglio rinunciare.
Il principio dell’unità, quel guardare a tutto, quel tenere conto di tutti i fattori che costituiscono la realtà che ho davanti (e quindi anche il mio paziente). Questo mi impedisce l’isolamento professionale e umano, supportandomi nel mio lavoro.
Il noto chirurgo e biologo francese Alexis Carrel diceva che “molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità“. Se parto da ciò che ho davanti, cioè la realtà in quanto tale, sarà essa stessa a indicarmi la modalità corretta, il criterio adeguato, per starci di fronte. E quindi per aiutare il mio paziente.
Di cos’altro ho bisogno?
Ogni giorno nel mio studio provo a seguire questa strada i ogni trattamento osteopatico.
Il riconoscimento dell’Osteopatia senza una consapevolezza umana e professionale rischia di essere poco utile, nella viva speranza che non diventi dannoso.